Che Machiavelli stesse componendo il Principe ne parlò al suo amico Francesco Vettori in una lettera del 10 dicembre 1513 annunciandogli di aver composto un opuscolo che parlava dei vari tipi di principato e che all’inizio si chiamava “De principatibus” e inoltre gli diceva di non sapere ancora se dedicarlo al signore di Firenze, Giuliano de’ Medici, fratello di papa Leone X. Il trattato uscì nel 1516 e lo dedicò al nuovo signore di Firenze Lorenzo II de’ Medici nonostante fosse un personaggio mediocre ma al quale rivolge l’invito di prendere in mano la situazione italiana e cambiarne le sorti. L’opera circolò come manoscritto originale, fu stampata nel 1532 solo dopo la morte dell’autore, creando molto scalpore e polemiche.
Il trattato lo scrisse a causa della disastrosa situazione in cui versava l’Italia nel primo Cinquecento e quindi voleva cercare una soluzione e dare dei consigli a chi stava al potere. Machiavelli credeva che l’attività politica iniziasse con l’osservazione e che si chiarisse con la teoria. Lui voleva cercare delle leggi universali che potessero essere applicate in qualsiasi Stato e in qualsiasi momento storico, quindi si può dire che Machiavelli abbia aperto le porte dell’attuale scienza politica moderna.
Il libro non è molto grande, si divide in 26 brevi capitoli. Nel I capitolo è riassunta l’intera materia dell’opera. Dal capitolo I a XI parla dei differenti tipi di principato; dal capitolo XII a XIV delle milizie e delle armi; dal capitolo XV al XXIII della figura del principe; nel capitolo XXIV i motivi per cui i principati italiani hanno perso il potere; nel capitolo XXV parla del ruolo della fortuna nelle vicende umane e nel capitolo XXVI vi è un’esortazione ai principi italiani.
Questa è un’opera che rientra nel genere degli “Specula principis” che erano trattati politici medioevali dove si delineava la figura del principe ideale. Machiavelli però cambia la figura del principe, affermando che egli non deve essere per forza buono, il suo fine deve essere il mantenimento e il rafforzamento del potere, per mantenere ciò può ricorrere anche ad azioni malvagie. Queste affermazioni crearono molto disappunto come anche l’aver delineato come figura di principe ideale, Cesare Borgia.
Visto che la natura umana è portata al male, lo scopo del principe non è quello di godere dell’affetto dei sudditi, che tanto si convertirà per qualsiasi futile motivo in odio, ma piuttosto deve avere virtù per raggiungere i suoi scopi. Il principe deve essere temuto dal popolo perchè la paura delle punizioni porta all’obbedienza, deve anche essere capace di ingannare gli avversari. Per questo definisce il principe come un centauro, cioè un animale mitologico metà uomo e metà bestia, perchè il principe deve usare non solo le leggi ma anche la forza. Quindi vi deve essere un giusto binomio tra forza e ragione.
Però Machiavelli non vuole dire che la crudeltà è sempre giustificata, la crudeltà fine a se stessa non va bene. Sicuramente una cosa su cui batte Machiavelli è che in uno stato i principi fondamentali sono le buone leggi e le buone armi, le seconde però non devono essere gestite da soldati mercenari. E’ inoltre importante che ogni Stato dipenda solo dalle proprie forze, quindi non deve avere vincoli con gli altri popoli.
Sicuramente centrale nel Principe è il rapporto tra “virtù” e “fortuna“; secondo l’autore la fortuna governa la metà del destino degli uomini, invece l’altrà metà dipende dalle loro azioni che invece dipendono dalle virtù dell’uomo.
Machiavelli però non vuole indicare quale sia la migliore forma di governo, ma vuole solo dire quale deve essere il comportamento del principe nel contesto italiano, quindi cosa deve fare per governare al meglio. In quest’ottica alla fine dell’opera esorta Lorenzo II de’ Medici a liberare l’Italia dagli stranieri.
Per quanto riguarda il lessico impiegato, è lontano da quello aulico, è un lessico libero e vario dove si mescolano latinismi del linguaggio della cancelleria, latinismi letterari, parole comuni e quotidiane e a volte anche termini plebei.