Il capitolo XXIII inizia con il cardinale che legge, in uno dei suoi rari momenti liberi, quando ad un certo punto entra il cappellano crocifero (cioè il segretario del cardinale) che gli riferisce con viso alterato che l’Innominato vuole essere ricevuto.
Al contrario del cappellano, che è spaventato dalla situazione, il cardinale appare felice ed entusiasta di accoglierlo. Viene fatto entrare dopo che invano gli era stato chiesto di deporre le armi.
Il tiranno entra nella stanza, e rimane solo con il cardinale. I due sono per un po’ in silenzio. L’Innominato è molto combattuto tra due sentimenti: la vergogna per essere lì e il desiderio di trovare sollievo una volta per tutte. Prova una certa venerazione per Federigo in quanto il suo aspetto sereno e penoso, il suo portamento maestoso, lo sguardo vivace, il pallore e i segni dell’astinenza, gli conferiscono una bellezza ovviamente diversa da quella giovanile, ma che lo rende una persona facile da amare.
Dal canto suo il cardinale cerca di capire quali siano i pensieri nascosti dell’uomo, ma il suo sguardo gli fa pensare che forse era lì per quello che desiderava.
Si rivolge a lui in maniera gioviale, compassionevole e disponibile, proprio l’opposto rispetto a quello che si aspettava il bandito. Quasi si scusa per non essere andato lui alla sua dimora, ciò ovviamente stupisce molto l’Innominato, per questo gli ribadisce la sua identità, pensando non avesse capito chi fosse, ma Federigo gli dice che sa bene chi sia, ma probabilmente Dio è stato più veloce di lui e che spesso aveva pregato per lui.
A quel punto, vista la tanta disponibilità e l’amore rivoltogli, decide di spiegargli il motivo della sua visita. Gli racconta che sta vivendo un momento di oppressione da cui non riesce ad uscire e quindi gli fa una serie di domande su Dio e sulla sua esistenza.
Borromeo gli risponde che se lui riconoscesse le sue colpe di fronte a tutti, per Dio sarebbe una gloria straordinaria; le sue imprese malefiche non sono nulla rispetto al bene che potrà fare.
Quel discorso così appassionato, induce l’Innominato ad un pianto liberatorio. Il cardinale cerca di prendere la sua mano ma lui rifiuta in quanto dice che sono sporche di sangue e contaminerebbero la sua purezza, ma lui gli dice che non gli interessa nulla, in quel momento vuole solo assistere la pecorella smarrita.
L’Innominato viene abbracciato dal cardinale e ad un certo punto si stacca ringraziando Dio per la grazia ricevuta e gli racconta del suo ultimo misfatto e cioè il rapimento di Lucia, descrivendogli tutte le sofferenze inflitte alla povera fanciulla.
Federigo subito lo incita dicendogli che era segno divino, infatti, lui liberando la fanciulla già avrebbe fatto il primo atto di bene.
Viene a sapere da dove proviene la fanciulla e fa chiamare dal cappellano il parroco del paese di Lucia e quello del paese che li ospita.
Don Abbondio, quando viene chiamato, è molto riluttante e insieme all’altro sacerdote viene portato al cospetto del cardinale e dell’Innominato.
Federigo chiede al sacerdote del paese di indicargli una donna assennata che possa consolare Lucia, invece a don Abbondio lo informa del fatto che una sua parrocchiana, Lucia Mondella, si trovi al castello del bandito e che lui debba andare lì per salvarla. Intanto viene mandato qualcuno subito a prendere la madre della fanciulla.
A quel punto il cardinale torna dai suoi fedeli che guardano con curiosità l’Innominato che lascia trasparire pentimento sul suo volto.
Don Abbondio resta solo con il bandito, è molto spaventato anche perchè non sa ancora se credere alla sua conversione e quasi è arrabbiato con Perpetua che lo ha spinto ad andare lì.
Si incamminano per giungere al castello e in questo frangente il curato non fa altro che pensare, ripercorre gli ultimi avvenimenti e appare anche dispiaciuto per la sorte di Lucia; si sente quasi un eroe e quindi Dio è un po’ in debito con lui.
Rimpiange persino di non aver sposato i due giovani, così si sarebbe trovato in una situazione più tranquilla, intanto il rapitore è impaziente di liberare Lucia, anche se sta male del fatto che la povera fanciulla stia soffrendo a causa sua.
Don Abbondio è impaurito al cospetto di tutti quei bravi e sgherri, ma l’Innominato si rivolge in maniera gentile alla donna mandata in aiuto e al curato per rassicurarli dell’opera misericordiosa che stanno per compiere.