LA SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE

Nel dopoguerra la situazione economica e sociale italiana non era affatto buona nonostante facesse parte degli Stati vincitori della Prima guerra mondiale.

Per più di tre anni tutte le attività economiche erano state mobilitate per sostenere lo sforzo bellico, quindi le spese elevate sostenute dallo Stato nel corso della guerra avevano portato all’indebitamento del Paese  e quindi all’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi dei generi di consumo.

Inoltre, vi era il problema della disoccupazione dovuto al fatto che durante la guerra molte industrie avevano prodotto armamenti e quindi per riconvertirsi alle produzioni originali impiegavano molto tempo e ciò portava a licenziamenti. Invece, nelle regioni meridionali, che erano state teatro di lunghe e sanguinose battaglie , i terreni coltivabili erano stati distrutti, mentre nel resto del Paese le campagne erano rimaste trascurate a causa della mancanza di manodopera.

Ovviamente disoccupazione ed inflazione colpiva soprattutto la parte della popolazione che svolgeva un lavoro dipendente e quindi riceveva uno stipendio. Quindi nacquero proteste e tensioni sociali perchè la popolazione non ce la faceva a sopportare tali pessime condizioni.

LE PROTESTE

Nei primi anni del dopoguerra gli operai cercarono di trovare una soluzione per uscire da questa crisi, quindi si organizzarono in sindacati e diedero vita a degli scioperi chiedendo aumento dei salari e la diminuzione degli orari di lavoro.

Anche i contadini non erano molto contenti perchè quando erano partiti per la guerra il governo gli aveva promesso che al loro ritorno avrebbero avuto terre da coltivare, ovviamente ciò non accadde e quindi i contadini soprattutto del sud arrivarono ad occupare le terre.

Infine c’era il ceto medio che era formato da gruppi sociali diversi come professionisti, commercianti ed impiegati.

Tra tutti e tre gli impiegati erano quelli che si trovavano in una situazione simile a quella degli operai visto che erano degli stipendiati e quindi soffrivano l’elevato aumento dei prezzi. Essi tuttavia non avevano dei sindacati che tutelassero i loro interessi perchè si sentivano superiori e diversi rispetto agli operai e ai contadini. Anche perchè avevano spesso un titolo di studio e durante la guerra avevano avuto delle posizioni di comando e quindi avevano difficoltà a rinunciare al loro privilegio.

Il ceto medio era più vicino ai nazionalisti che avevano ardentemente voluto l’intervento dell’Italia in guerra, quindi tra di loro cominciarono a diffondersi idee politiche di destra che non condividevano le proteste operaie e contadine auspicate dal movimento socialista.

LA SITUAZIONE POLITICA

L’introduzione del suffragio universale maschile realizzato da Giolitti portò alla nascita dei partiti di massa. Prima della Grande guerra la maggioranza dei deputati erano liberali però con gruppi che seguivano posizioni diverse. Quindi con le elezioni del 1919, visto che la tipologia di votanti era cambiata il partito socialista raggiunse oltre il 32% dei voti, ottenendo la maggioranza relativa. Al secondo posto si collocò il partito popolare invece i liberali ottennero per la prima volta, da quando si era formato il regno d’Italia, pochissimi voti.

Il partito socialista era quindi quello più votato da operai e contadini  anche grazie alla rivoluzione russa che aveva diffuso maggiormente le ideologie socialiste. Il partito era diviso in due:

  • i riformisti guidati da Filippo Turati che volevano il miglioramento delle condizioni dei lavoratori con delle riforme e senza ricorrere alla rivoluzione;
  • i massimalisti rappresentavano la maggioranza, invece credevano che la rivoluzione russa fosse un esempio da seguire.

Il partito popolare fu fondato stesso nel 1919 dal sacerdote cattolico don Luigi Sturzo. Questo partito si ispirava alla dottrina cattolica e auspicava a delle riforme che migliorassero le condizioni delle classi più povere. Era un partito con seguito soprattutto in alcuni paesi del Nord.

Infine c’era la borghesia che cominciava a nutrire simpatia verso i nazionalisti che erano stati a favore dell’ingresso in guerra dell’Italia. Tra le figure nazionaliste di spicco si ricorda Gabriele D’Annunzio. Questo gruppo politico è ricordato per la famosissima frase “vittoria mutilata“. Essi volevano oltre a Trento, Trieste, l’Alto Adige e l’Istria, ricevute dopo i trattati di pace, anche la città di Fiume, essendo la popolazione in maggioranza italiana. Per protestare contro questa vittoria mutilata un gruppo di reduci guidati da Gabriele D’Annunzio occuparono la città di Fiume ma ben presto furono cacciati dall’esercito italiano

IL BIENNIO ROSSO

Tra il 1919 e il 1920 le lotte degli operai e dei contadini raggiunsero il culmine. Esse erano organizzate dai sindacati e dal Partito socialista e comunemente questo periodo è chiamato Biennio Rosso. Le città più coinvolte furono quelle del triangolo industriale (Milano, Genova, Torino).

La protesta più eclatante fu quella del 1920 dove gli operai occuparono le fabbriche poichè i proprietari si erano rifiutati di aumentare i salari e migliorare le condizioni lavorative, inoltre avevano anche chiuso le fabbriche. L’occupazione durò alcune settimana e in concomitanza anche i contadini occuparono le terre.

Molti erano preoccupati che stesse accadendo una rivolta sociale come in Russia e quindi volevano che ci fosse la repressione da parte dell’esercito. Giolitti invece riteneva che questa situazione sarebbe rientrata da sola , infatti così fu.

Programma di Storia di terza media