Il quarto capitolo dei Promessi sposi è monografico perchè interamente dedicato ad un solo personaggio, padre Cristoforo.
Questa tipologia di racconto è un’eccezione che trova analogia solo con il capitolo 22 dedicato al cardinale Borromeo. Sono entrambe eroi positivi, giusto per portare un po’ di ottimismo alla pessimistica negatività della società lombarda del XVII secolo.
La differenza tra i due personaggi è che padre Cristoforo è frutto dell’invenzione di Manzoni mentre per descrivere il cardinale, veramente esistito, si rifà a varie fonti storiche.
Il racconto del frate comincia quando l’uomo si sta dirigendo da Agnese e Lucia, quindi, sta attraversando la strada che parte dal convento di Pescarenico fino ad arrivare alla casa delle donne, durante questo tragitto Manzoni fa partire una descrizione paesaggistica in cui s’intrecciano scene liete della natura e i volti tristi e malinconici per l’imminente carestia.
Da subito si evince il carattere positivo e generoso del frate, sempre pronto ad aiutare gli altri, quindi, viene messa in evidenza un’interpretazione diversa del cristianesimo, opposta a quella pigra di Don Abbondio.
L’autore da’ prima una descrizione dell’aspetto di un uomo umile e mansueto i cui occhi sono per lo più chinati a terra, come vuole l’ordine a cui appartiene, ma allo stesso tempo riescono ad essere vivaci, segno di una personalità forte e non banale.
In seguito Manzoni continua la descrizione partendo dalle vicende della sua famiglia.
Lodovico, questo era il suo nome prima di diventare frate e quindi padre Cristoforo. Proviene da una famiglia di mercanti, non viene precisato il luogo dove viveva, attribuendo la mancanza di tale notizia all’anonimo autore che aveva scritto l’immaginario manoscritto.
Il padre di Lodovico è un mercante che si era arricchito così tanto da decidere di condurre una vita come i nobili, cioè dedita all’ozio. Di conseguenza il loro unico figlio viene cresciuto come un signore anche se loro non sono nobili. Questa indeterminazione del loro ruolo sociale rende la vita difficile per Lodovico che non viene trattato alla pari dai nobili.
Per tutta la sua giovinezza essendo lui un ragazzo dall’indole buona, aveva più volte pensato di farsi frate, senza però una convinzione particolare.
Lui è onesto e crede che si possa fare giustizia con raggiri e violenze e che si possa ottenere il bene operando il male.
Un bel giorno a causa di una banale lite con un signorotto locale molto prepotente, viene sfidato a duello. Ne rimane ucciso il suo fedele servitore Cristoforo e lui preso da tanta rabbia uccide il signorotto sotto l’acclamazione delle persone che stavano a guardare.
Ferito nel corpo e nell’anima, viene portato al vicino convento cappuccino per sfuggire ai parenti dell’uomo ucciso.
In convento avviene la sua conversione, finalmente gli appare chiara la strada da seguire per superare la sua disperazione e la sua insoddisfazione, ma soprattutto per trovare perdono nel fatto di aver infranto una vita.
Lodovico accetta il concetto di perdono cristiano ma capisce che anche lui per vivere in pace, lo deve ricevere dalla famiglia dell’uomo che aveva ucciso.
Grazie al padre guardiano, che lo aveva accolto in convento, i parenti del defunto accettano di incontrarlo, quindi, divenuto frate con il nome di Cristoforo, in onore del suo servo ucciso, prima di partire per il convento a cui era destinato, va dal fratello del signorotto la cui intenzione era umiliarlo, ma il frate grazie alla sua sincerità riesce a ricevere il perdono con un abbraccio commovente.
In questa parte si vede come il bene abbia un effetto rigeneratore.
Dopo il racconto di padre Cristoforo, la storia continua con lui che giunge da Agnese e Lucia che lo aspettano con ansia.