Nel capitolo XXXIV dei Promessi sposi Manzoni descrive la peste dal punto di vista di Renzo che sta entrando a Milano per cercare Lucia.
Ovviamente varcare le porte della città non sarebbe possibile senza un certificato sanitario, ma in quella situazione disastrosa i controlli sono quasi assenti, e quindi ci vuole solo un po’ di destrezza, infatti, Renzo dona una moneta d’argento all’unica guardia che incontra che lo lascia passare tranquillamente.
Il giovane comincia il suo viaggio nella desolazione, tra corpi morti, persone malate, cadute in povertà e sconsolate che non vedono una via di uscita. Incontra un uomo a cui gentilmente gli chiede indicazioni sulla casa di don Ferrante, ma l’uomo lo scambia per un untore e lo caccia via in malo modo, Renzo va via senza capire il motivo di quel comportamento.
Continua il suo percorso e si sente chiamare da una donna la quale è rinchiusa in casa con i suoi figli perchè il suo uscio è stato inchiodato per la morte di peste del marito ma le autorità si sono dimenticate di loro, quindi, il giovane, il giorno prima, aveva acquistato due pagnotte di pane che dona alla donna e quasi gli sembra una riparazione per non aver restituito i pani trovati in strada durante il primo viaggio a Milano.
Continua il suo percorso ed arriva in piazza san Marco dove vede arrivare i monatti che raccolgono i corpi e ciò gli provoca dolore soprattutto al pensiero che uno di quelli potesse essere Lucia.
Fortunatamente, proseguendo, incontra un frate che gli indica la strada.
La desolazione è sempre più grande camminando sia nelle vie più squallide sia in quelle in genere più altolocate. I morti sono da per tutto, la sporcizia anche, le persone più ricche le vedi vestite in modo misero, con barbe incolte e capelli lunghi perchè i barbieri si è sparsa la voce essere degli untori. Le porte di molte case sono sprangate o segnate per indicare la presenza di un morto.
Ad un certo punto sente il tintinnio che avverte l’arrivo del carro con i monatti che devono caricare i morti, quello che lo colpisce e che Manzoni mette in risalto è una donna che porta in braccio il corpicino della figlia che si capisce essere morta dalla posizione delle braccia e del capo. La mamma ha fatto indossare alla figlia l’abito più bello e lei nonostante il grande dolore appare molto bella e composta. Poggia con molta delicatezza il corpo della bambina, che si chiama Cecilia, sul carro e raccomanda i monatti di averne cura e di seppellirla vestita, dandogli in cambio delle monete. La donna risale a casa sua e si affaccia al balcone prendendo in braccio un altro figlio che si capisce essere malato anche lui. (Questa storia Manzoni l’aveva ripresa desunto dall’opera dedicata da Federigo Borromeo alla pestilenza)
Questa parte è un vero inserto poetico molto vicino al tono dell’“Addio ai monti”.
Renzo continua il suo itinerario e finalmente giunge alla casa di don Ferrante. Si fa coraggio, perchè ha paura di avere brutte notizie, e bussa alla porta e dalla finestra esce una persona a cui lui domanda se tra la servitù ci sia una donna di nome Lucia e gli risponde che si trova al Lazzaretto, ammalata di peste e chiude la finestra. Renzo avendo altre domande da fare e rimasto sconvolto dalla notizia comincia ad afferrare il martello della porta in mano e a bussare con molta energia, una donna lo vede da lontano e comincia a gridare all’untore. Renzo è sbalordito e capisce che deve fuggire e correndo vede il carro dei monatti a cui si appende perchè così sicuramente nessuno si sarebbe avvicinato. I monatti lo credono un untore e sono contenti che lo sia anche se durante il tragitto hanno dei dubbi perchè lo vedono molto diverso da loro. Quando è in prossimità del lazzaretto scende dal carro per raggiungere finalmente Lucia.