Guido Guinizzelli
Di Guido Guinizzelli, nato a Bologna, è incerta l’identificazione sociale, forse appartiene alla nobile famiglia dei Principi e svolge il ruolo di podestà nel 1270, oppure è un giudice esiliato con i ghibellini e morto nel 1276. La seconda ipotesi è quella più certa, egli è della generazione precedente a quella di Dante che lo definisce un maestro, infatti, nel canto XXVI del purgatorio lo chiama “padre” perchè a lui si deve il manifesto del dolce stil novo : “Al cor gentil rempaira sempre amore”.
La produzione che si può attribuire con certezza a Guido Guinizzelli comprende 5 canzoni e 15 sonetti.
La sua canzone più importante è la seguente.
Al cor gentil rempaira sempre amore
Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ‘l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ‘l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.
Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ‘l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ‘nnamora.
Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’adamàs del ferro in la minera.
Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:
vile reman, né ‘l sol perde calore;
dis’omo alter: « Gentil per sclatta torno »;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ‘l ciel riten le stelle e lo splendore.
Splende ‘n la ‘ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [‘n] nostr’occhi ‘l sole:
ella intende suo fattor oltra ‘l cielo,
e ‘l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [‘n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.
Donna, Deo mi dirà: « Che presomisti? »,
sïando l’alma mia a lui davanti.
« Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude ».
Dir Li porò: « Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza ».
In questa canzone, che appunto è stata considerata un manifesto dello stilnovismo , Guinizzelli enuncia alcuni concetti fondamentali che poi verranno ripresi dai suoi successori. Il problema centrale della canzone è la “gentilezza”, cioè la nobiltà d’animo e quindi viene ribadito il concetto fondamentale che la nobiltà non è quella che si acquisisce per eriditarietà, ma è qualcosa dell’animo. Solo chi sa amare “finemente” è un “cor gentile”.
L’amore diviene qualcosa di mistico che permette l’avvicinamento a Dio.
I punti principali ripresi dai suoi successori :
- sono evitati suoni aspri;
- non vi sono rime rare e difficili;
- non vi sono termini rari e ricercati;
- la sintassi è in genere piana;
- il ritmo è fluido;
- le figure retoriche sono rare.