I Promessi sposi si aprono con l’Introduzione, in cui Manzoni spiega l’origine della storia che si accinge a raccontare, nella quale parla in prima persona e finge di aver ritrovato un manoscritto di un autore del ‘600 anonimo.
Quest’autore anonimo afferma che gli altri letterati, da sempre, si sono limitati a raccontare le imprese di personaggi altolocati, ma lui era venuto a conoscenza delle vicende di personaggi di umili condizioni sociali che valeva la pena raccontare.
In questo romanzo lui avrebbe mostrato episodi violenti ma anche di elevata virtù. Anche se ciò poteva sembrare strano visto che la Lombardia del ‘600 era sotto il governo illuminato degli spagnoli, quindi l’unica motivazione di tutto quello che era accaduto non poteva che essere dovuto all’intervento del diavolo.
Nella prima parte dell’Introduzione, scritta in una forma antiquata e non sempre corretta, Manzoni fa capire che trascrive il romanzo ritrovato in maniera fedele, proprio per meglio ritrarre la verità storica della sua fonte. Però nello scrivere, ad un certo punto si arresta davanti ad uno scarabocchio e a questo punto capisce che non è più il caso di trascrivere quella storia in quel modo così ampolloso e in stile barocco, quindi si propone di riscriverla in forma moderna, adatta agli uomini del suo tempo. Quindi continuerà questo lavoro, considerando il racconto molto bello, sempre avendo come base di tutto il vero, l’interessante come mezzo e l’utile per scopo.
L’espediente del manoscritto, che compare anche nel Don Chisciotte di Cervantes è servito a Manzoni per due scopi fondamentali: da una parte è riuscito a far sembrare il romanzo quanto più reale possibile, dall’altra parte in questo modo ha avuto la possibilità di intervenire moralmente e umoristicamente nell’azione del romanzo, mantenendo le distanze dalla storia che stava per raccontare, in questo modo le critiche velate e manifeste verso la dominazione spagnola sarebbero state attribuite ad altri.