Quest‘ode civile fu composta molto probabilmente quando sembrava, a seguito dei moti piemontesi, che Carlo Alberto dopo aver concesso la costituzione, passasse il Ticino per liberare la Lombardia.
Le cose non andarono così, infatti l’erede di Vittorio Emanuele I, Carlo Felice, con l’appoggio degli austriaci rinnegò ciò che aveva fatto Carlo Alberto. Quindi il poeta, immagina che gli insorti abbiano già attraversato il Ticino, cioè il confine con il Piemonte.
Quest’ode è considerata la più politica e militante dei testi manzoniani e avrebbe dovuto accompagnare i moti del 1821, ma Manzoni consapevole che le cose non stavano andando per il verso giusto, nasconde i versi e secondo alcuni li distrugge. Decide di stamparli solo nel 1848 durante le Cinque giornate di Milano, quando i milanesi cacciarono gli austriaci dalla città e i piemontesi andarono in loro aiuto. A questa rivolta partecipa anche il figlio del poeta, Filippo Manzoni.
Quindi alla fine quest’ode anche se è stata pubblicata anni dopo essere stata scritta racchiudeva degli ideali che erano tanto validi nel 1821 quanto nel 1848.
MARZO 1821
ALLA ILLUSTRE MEMORIA
DI
TEODORO KORNER
POETA E SOLDATO
DELLA INDIPENDENZA GERMANICA
MORTO SUL CAMPO DI LIPSIA
IL GIORNO XVIII D’OTTOBRE MDCCCXIII
NOME CARO A TUTTI I POPOLI
CHE COMBATTONO PER DIFENDERE
O PER RICONQUISTARE
UNA PATRIA
Soffermati sull’arida sponda,
vòlti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,
han giurato: ” Non fia che quest’onda
scorra più tra due rive straniere:
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!“
L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
già le sacre parole son porte:
“O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol“.
Chi potrà della gemina Dora,
della Bormida al Tanaro sposa,
del Ticino e dell’Orba selvosa
scerner l’onde confuse nel Po;
chi stornargli del rapido Mella
e dell’Oglio le miste correnti,
chi ritoglierli i mille torrenti
che la foce dell’Adda versò,
quello ancora una gente risorta
potrà scindere in volghi spregiati,
e a ritroso degli anni e dei fati,
risospingerla ai prischi dolor:
una gente che libera tutta,
o fia serva tra l’Alpe ed il mare;
una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
con quel guardo atterrato ed incerto,
con che stassi un mendico sofferto
per mercede nel suolo stranier,
star doveva in sua terra il Lombardo;
l’altrui voglia era legge per lui;
il suo fato, un segreto d’altrui;
la sua parte servire, e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
torna Italia, e il suo suolo riprende;
o stranieri, strappate le tende
da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
sotto il peso de’ barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
un giudizio da voi proferito
v’accompagna all’iniqua tenzon;
voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
ogni gente sia libera, e pera
della spada l’iniqua ragion.
Se la terra ove oppressi gemeste
preme i corpi de’ vostri oppressori,
se la faccia d’estranei signori
tanto amara vi parve in quei dì;
chi v’ha detto che sterile, eterno
saria il lutto dell’Itale genti?
chi v’ha detto che ai nostri lamenti
saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
chiuse il rio che inseguiva Israele,
quel che in pugno alla maschia Giaele
pose il maglio, ed il colpo guidò;
quel che è padre di tutte le genti,
che non disse al Germano giammai:
“Va’, raccogli ove arato non hai;
spiega l’ugne; l’Italia ti do”.
Cara Italia! dovunque il dolente
grido uscì del tuo lungo servaggio;
dove ancor dell’umano lignaggio
ogni speme deserta non è;
dove già libertade è fiorita,
dove ancor nel segreto matura,
dove ha lacrime un’alta sventura,
non c’è cor che non batta per te.
Quante volte sull’Alpe spiasti
’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sbocciati,
stretti intorno a’ tuoi santi colori,
forti, armati de’ propri dolori,
i tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
il furor delle menti segrete:
per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
al convitto de’ popoli assisa,
o più serva, più vil, più derisa
sotto l’orrida verga starà.
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
che da lunge, dal labbro d’altrui,
come un uomo straniero, le udrà!
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
dovrà dir sospirando: io non c’era;
che la santa vittrice bandiera
salutata quel dì non avrà.
PARAFRASI
vv 1-8 Fermatisi per un momento sulla sponda sabbiosa, con gli sguardi rivolti al Ticino (Manzoni immagina che l’esercito abbia già varcato il Ticino, fiume che segnava il confine tra Piemonte e Lombardia, l’uno appartenente al Regno di Sardegna, sotto i Savoia, l’altra al Lombardo Veneto, sotto il dominio austriaco), attenti a quanto di straordinario sta per accadere, nel loro cuore sono sicuri di saper rinnovare l’antico valore delle loro genti, hanno giurato: non accadrà più che le acque del fiume Ticino scorrano in mezzo a due terre straniere: non ci sarà mai più luogo dove sorgano confini che la dividano al suo interno.
vv 9-16 L’hanno giurato: a quel giuramento altri eroi rispondevano da terre ugualmente abitate da italiani, mentre preparavano in segreto le armi che ora scintillano sguainate al sole. Le mani destre (dei lombardi e dei piemontesi) si sono già strette per sigillare il patto; le sacre parole del giuramento sono state scambiate: o affronteremo tutti insieme la morte, o saremo fratelli sulla nostra terra liberata.
vv 17-32 Solo chi sarà in grado di separare le acque confluite nel Po delle due Dore (la Baltea e la Riparia), della Bormida unitasi al Tanaro, del Ticino e dell’Orba dalle rive boscose; chi sarà in grado di far tornare indietro le acque ormai mescolate (con quelle del Po) del Mella che scorre rapido e dell’Oglio , chi potrà separare da quelle i tanti torrenti che la foce dell’Adda fece affluire , solo costui potrà dividere ancora un popolo rinato in masse discordi e disprezzate, e farlo tornare alle antiche sofferenze andando contro il corso del tempo e del destino: un popolo che o sarà completamente libero o completamente schiavo dello straniero dalle Alpi al mare; unito dalle tradizioni militari, dalla lingua, dalla religione, dalla storia, dalle stesse radici etniche e dagli stessi ideali.
vv 33-40 Il lombardo doveva stare nella sua terra da straniero con quell’atteggiamento sfiduciato e umiliato, con quello sguardo basso e insicuro con cui sta in terra straniera un mendicante tollerato per pietà; i caprici dei suoi oppressori diventavano legge per lui; il suo destino dipendeva da decisioni di altri a lui sconosciute; il suo compito era solo di obbedire e tacere.
vv 41-48 O stranieri, l’Italia ritorna a prendere possesso della propria eredità e riconquista il proprio suolo; o stranieri, togliete gli accampamenti da una terra che non vi ha generato. Non vi accorgete che si sta risvegliando tutta, dalle Alpi allo stretto di Messina? Non sentite che il terreno sta tremando non più sicuro sotto il peso dei vostri piedi stranieri?
vv. 49-56 O stranieri! Sulle vostre bandiere c’è la macchia vergognosa di un giuramento tradito; un’affermazione da voi proclamata vi accompagna in questa guerra ingiusta; voi che in quei giorni gridaste insieme: Dio non tollera le oppressioni; ogni popolo deve essere libero sia sopraffatta la legge ingiusta della forza.
vv. 57-64 Se la terra su cui soffriste oppressi schiaccia con il suo peso i corpi dei vostri oppressori, se nei giorni delle sconfitte il volto dei dominatori stranieri vi sembrò tanto amaro; che vi ha detto che la sofferenza per la mancanza di libertà del popolo italiano sarebbe stata eterna e vana ? Chi vi ha detto che quel Dio che ascoltò i vostri desideri sarebbe stato sordo ai nostri lamenti?
vv. 65-72 Sì , quel Dio che chiuse dentro le acque del Mar Rosso il malvagio faraone che inseguiva il popolo d’Israele, quel Dio che mise in pugno della coraggiosa Gioele il martello e guidò il colpo; quel Dio che è padre di tutti i popoli, quel Dio che non disse mai all’Austriaco : và impadronisciti di ciò che non ti spetta ; prepara le unghie; ti dono l’Italia.
vv. 73-80 Cara Italia! Si diffuse il grido di dolore per la tua lunga sottomissione dove non è stata ancora persa ogni speranza nel genere umano; dove la libertà si è già affermata , dove ancora cresce nell’ombra, dove si piange per una grave sventura, non c’è cuore che non frema per la tua sorte.
vv. 81-88 Quante volte sperasti di vedere affacciarsi dalle Alpi una bandiera amica! Quante volte tendesti lo sguardo sulle acque deserte dei mari Adriatico e Tirreno! Ecco finalmente nati da te stessa stretti intorno ai sacri colori della tua bandiera, vigorosi, resi più forti dalle sofferenze, i tuoi figli sono pronti a combattere.
vv.89-96 Oggi, o patrioti valorosi, risplenda sui volti la passione dei propositi concepiti in segreto: si combatte per l’Italia, vincete! Il tuo destino è affidato alle vostre spade . O la vedremo rinata per opera vostra seduta nel congresso delle nazioni , oppure o sarà più sottomessa , umiliata e derisa sotto l’atroce dominazione straniera.
vv. 97-104 (strofa aggiunta nel 1848 ed allusiva forse alle cinque giornate) Oh giornate della nostra rivincita! Sarà per sempre infelice colui che, come un uomo straniero , le sentirà da lontano , dalla bocca di altri ! Colui che, raccontandole un giorno ai suoi figli, dovrà dire con rammarico: io non ero là ; colui che non avrà salutato quel giorno la sacra vittoriosa bandiera italiana.
ANALISI DEL TESTO
Manzoni dedica questa poesia a Teodoro Korner, rendendolo un simbolo della lotta contro l’oppressione straniera, anche perchè era vittima dell’imperatore francese, che in quel periodo era mal considerato dagli intellettuali romantici.
Il soldato, era un patriota e letterato tedesco, quindi rappresenta anche tutto il popolo tedesco che come gli italiani, avevano dovuto combattere l’oppressione straniera. Quindi tale dedica serve a sottolineare come Manzoni rifiuti qualsiasi atteggiamento di stretto nazionalismo perchè tutti i popoli che lottano per la loro indipendenza sono dalla parte della ragione e si devono aiutare fra di loro.
Infatti anche il Dio dell’Antico Testamento, aiutando Israele contro il faraone e Giaele contro Sisara, ha dimostrato di affiancare tutti i popoli che combattono per la loro libertà.
La poesia nella parte finale mostra come il popolo ormai sia stanco di aspettare lo straniero per essere liberati, illusione già provata con Napoleone, quindi loro stessi devono battersi in prima persona. L’uomo che combatte potrà parlarne vantandosi ai propri figli.
In tutta la poesia si nota come i pensieri di Manzoni abbiano soprattutto una base religiosa, infatti è Dio che accetta e condivide queste guerre contro l’oppressore. Quindi la lotta per l’indipendenza italiana e per la liberazione dall’oppressione degli austriaci è vista come giustizia divina.
Il metro della poesia: è formata da 13 strofe di otto decasillabi con schema ABBCDEEC, ma la prima strofa si distingue per una variante, infatti A e D rimano tra loro.
Le figure retoriche che troviamo nella poesia sono:
Nel primo verso troviamo una sinestesia perchè la sponda del fiume non può essere arida quindi si riferisce all’aridità del cuore degli uomini.
Troviamo una serie di anafore: vv 5-7 non fia, vv.5-9 han giurato, vv. 6-8 più, vv. 13 destre, vv. 13-14 già, vv. 17, 21, 23 chi, vv. 33-34 con quel, vv. 41-34-49 o stranieri, vv, 45-47 non vedete\non sentite, vv. 61-63 chi v’ha detto; vv. 64-65 quel Dio, vv.67-69 quel che, vv. 75-77-79 dove, vv.81-83 quante volte, vv.97-98 oh.
Molte esclamazioni vv.8, 82, 84, 91, 97, 100 e interrogative retoriche (cioè domande che non aspettano una risposta perchè ovvia) vv. 46, 48, 62, 64.
Troviamo una sineddoche vv.5 quest’onda.
Antitesi vv. 25-26 gente\volghi
Similitudine nella quinta strofa.
Apostrofe che inizia con il vv. 41 verso gli oppressori stranieri .